#100cose: 62. bere da solo in un pub
L'ho fatto a Londra, due volte.La mia prima sera nella capitale britannica ho cenato da The Wigmore; la quarta da The Harwood Arms 🌟.Racconto le due cene in due precedenti...
Sala – Lisbona
In sintesi: una gran bella esperienza.
È d’uso (e un po’ una moda) dire che nei ristoranti fine dining non si fa semplicemente un pasto, ma si vive un’esperienza. A marzo 2025 sono stato a cena da Sala, a Lisbona -il ristorante una stella Michelin guidato dallo chef Joao Sà- e ho vissuto un’esperienza. Ma non per moda o modo di dire, ma per davvero! Ho cenato, innanzitutto, al bancone, affacciato direttamente sulla cucina. E vedere gli chef al lavoro, tra preparazioni e impiattamento, è stato un vero spettacolo. Mi servivano e raccontavano le portate direttamente dalla cucina; potevo osservare ogni gesto, ogni parola, ogni sorriso nello staff e gustare un clima sereno e rilassato, che si ripercuoteva nei piatti, equilibrati e precisi; ho potuto vedere lo chef sgusciare un’ostrica, condirla e -giratosi con discrezione- mangiarla con gusto (e mi è piaciuto, ha contribuito a quell’atmosfera serena e informale che ho molto apprezzato). Ho potuto gradire anche una serie di piccole attenzioni nei miei confronti (la proposta di una sfiziosa bevanda analcolica; un panno balsamico per pulire la mani a inizio pasto, senza dover per forza andare in bagno; una piccola copia del menù per seguire più facilmente il percorso piatto per piatto; qualche parola in Italiano; chiacchiere del più e del meno -pur nel mio inglese stentato- con gli chef e il personale di sala). Un servizio veloce, ben ritmato, senza pause eccessive, di un personale giovane, ‘fresco’, informale hanno contribuito a rendere questa esperienza davvero una bella esperienza!
Il menù degustazione rappresenta la visione che lo chef ha di Lisbona, della sua storia, dei viaggiatori e degli abitanti che l’hanno fatta grande arrivando da ogni angolo del mondo. Un menù che ‘contiene’ l’Oceano Atlantico e le spezie di paesi lontani, in un sapiente equilibrio di sapori che meritano davvero di essere assaggiati.
L’inizio -pur buono- non mi ha sorpreso. Mi ha fatto immaginare una cena piacevole, ma non memorabile (spoiler: mi sbagliavo!). Si parte con una rivisitazione del caldo verde (una zuppa a base di cavolo tipica del Nord del Paese) che affascina per la cura della presentazione, ma è pur sempre un brodino. Si prosegue con delle vongole affumicate al legno di pino, gradevoli, ma pur sempre semplici vongole. Terzo assaggio una moqueca di gamberetti, che rimanda alla ricetta di uno stufato brasiliano, ha un buon sapore, ma una cialda che ti aspetti croccante e invece è un po’ tenace, un po’ ‘lunga da masticare’.
Poi la svolta. E la svolta si chiama ‘muamba de galinha‘, un amuse bouche che rimanda a un piatto tipico dell’Angola a base di gallina, che viene proposta tra due cialde realizzate con la pelle del volatile. Un assaggio memorabile, che ti fa guardare con rinnovato entusiasmo alle portate (tante) che devono ancora arrivare.
Ecco quindi un’ostrica con funghi e aceto (molto fresca e piacevole), che chiude gli amuse bouche e apre, col servizio del pane (accompagnato da un gran olio e da un burro da urlo), alla parte ‘più sostanziosa’ della cena.
Arriva un cannellone di granseola con harissa e curry di Goa, piccantino il giusto, ben equilibrato, molto buono.
Segue un notevole piatto a base di aragosta, caramello e castagna. Un piatto con delle note dolci, che contrastano la spiccata sapidità della bisque spumosa in accompagnamento di un’aragosta golosa, giustamente poco cotta. Un piatto top. E sono già due.
Sorpresa non prevista dal menù presentato a inizio cena, arriva un piatto completamente a base di funghi, in spuma di fricassea (a base di uovo e limone) che mi è piaciuto molto, pur non amando i funghi.
Poi arriva il cuscos. Cos’è il cuscos? Non saprei, lo chef prova a spiegarmelo e ci metto un attimo a capire che trattasi di cous cous o meglio -credo- di una sua antica versione locale. Il piatto è coloratissimo, bello, ma soprattutto caldo, saporito, cremoso. È condito con coriandolo, aglio e bivalvi e dei ricci di mare gelati (come avevo già provato da Mauro Uliassi) che sono davvero una mossa azzeccata. Altro piatto memorabile.
Segue un piatto con dell’anguilla grigliata, con sopra una salsa a base di zafferano e patate che ricorda la Caldeirada portoghese, una cremina di aglio nero e una sferificazione di kombucha. Lo chef me lo presenta come un piatto che qualcuno ama e qualcuno detesta. Lo assaggio ed è amore a prima vista, tanto che mi domando come qualcuno sano di mente possa non apprezzarlo. Quarta portata top del menù.
Il branzino grigliato (ma non troppo, qb) -servito poco dopo con un’insalata di asparagi verdi, un salume croccante che ricorda la bresaola, una salsa fatta coi resti del pesce e una generosa dose di caviale– è il quinto piatto memorabile della serata, in particolare grazie alle note terrose e verdi date dall’asparago, che contrastano piacevolmente la sapidità marina di pesce e caviale.
Ultimo piatto salato ‘polpo, alghe, riso‘. Lo chef finisce il piatto grattuggiandovi sopra una sorta di bottarga di polpo e mi dice di non spaventarmi per le note piccanti e acide della portata. E chi si spaventa? Era ben equilibrato e bello cremoso. Una conclusione godereccia del pasto, prima dei dessert.
Il pre dessert è un sorbetto realizzato coi frutti del baobab (che ti lasciano anche da vedere e da assaggiare a parte), accompagnato da una crema e una tuille al basilico e da un gel al lime. Un piatto citrico, fresco originale. Proprio come dev’essere un pre dessert. E siamo alla sesta portata top.
Settima portata memorabile (e non è affatto poco in una sola cena, anzi), un dessert a base di timo, carota e brioche. Sarà che adoro il timo, ma -nella sua delicatezza- l’ho trovato una perfetta fine pasto.
Arriva un carrello di the, tisane e caffè, ma io sono noioso e non bevo quasi nulla. Apprezzo però molto anche la piccola pasticceria: una tartelletta al cioccolato, un semifreddo alla mela e -su tutte- una gelatina alla fragola, leggermente salata.
Una gran cena, una bella esperienza a tutto tondo, che mi sento di consigliare caldamente a chi vuole vedere e gustare Lisbona al di là dei -pur apprezzabili- piatti da assaggiare nelle tasca (le trattorie locali) o dei pasteis de nata.